Ma perché i politici pensano di non dovere fare riferimento, nel loro lavoro, ai progressi delle scienze economiche e sociali, alle scienze politiche, storiche e organizzative, ai progressi dei sistemi di informazione e comunicazione, ai diritti fondamentali dell'uomo, a più di cento anni di psicanalisi, alla poesia, alle arti, alla distinzione tra fatti e opinioni, alla distinzione tra benessere e malessere, tra libertà e costrizione, alla distinzione tra evoluzione e regressione personale e dei sistemi sociali, non distinguendo tra scienze e tecniche della vita e della morte. Perché i politici sono esentati dalla riflessione collettiva e storica sul senso di giustizia, di bellezza, di progresso, di uguaglianza, di benessere. Chissà perché sono esentati o autoesentati da tutto questo?!
A parte le responsabilità e i doveri che la vita a volte ci impone, i nostri e altrui percorsi di transizione, e le sue difficoltà, trovo che lamentarsi spesso sia il segno che quel lavoro o quella situazione non fa per noi, che quell’impegno non è la nostra missione, la nostra strada, non lo è ancora, o forse non lo sarà mai.
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