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Come decide chi decide?

Capire i processi decisionali è un modo fondamentale di capire la società di cui siamo parte. Avere competenze sui processi decisionali, in gruppo, in famiglia, in politica, in azienda significa partecipare in maniera consapevole e responsabile. Alcune domande per capire e realizzare buoni processi decisionali personali o collettivi possono essere queste:

  • Qual è la posta in gioco con la decisione?
  • Quali sono gli interessi individuali in campo?
  • Quali sono gli interessi collettivi (bene comune) in campo?
  • È utile ridefinire insieme il problema/problemi per cui si decide?
  • Chi decide è sufficientemente informato?
  • I decisori sono tutti informati alla stessa maniera?
  • Ci sono dei conflitti latenti, non espressi nel gruppo? 
  • Ci sono interessi di maggioranza e di minoranza?
  • Ci sono interessi di minoranze fragili?
  • Gli interessi sono diretti (ognuno rappresenta se stesso) o sono rappresentati da qualcuno?
  • Gli interessi in campo hanno un rappresentante leggittimo/riconosciuto?

Le scelte di gruppo possono avvenire attraverso una precedente delega a qualcuno a decidere per il gruppo oppure attraverso una votazione a cui segue una deliberazione, una scelta, uno sblocco della situazione. 

Comunque, una cultura di gruppo che tende a tutelare gli interessi di chi diventa minoranza in un voto significa anche partire con una partecipazione a processi decisionali senza troppi timori, da parte di chi si potrebbe trovare in minoranza alla fine del processo decisionale.

Mentre un gruppo che tendenzialmente non tuteli le minoranze al suo interno avrà ogni volta dei processi decisionali più conflittuali, perché la posta in gioco, il rischio di esclusione è alto. Un gruppo con scarsa cultura decisionale potrebbe diventare un gruppo che non decide mai niente per il timore avvertito da più parti di trovarsi minoranza non tutelata dopo una eventuale decisione.

Tutti gli interessi possono essere leggittimi ma tutelare gli interessi di chi ha delle fragilità economiche o esistenziali dovrebbe essere la priorità di tutti, in un processo decisionale di gruppo o politico che decide per altri, è una questione di civiltà non di orientamento politico.

Un altro modo di decidere nelle organizzazioni di diverso tipo è attraverso la divisione del lavoro e delle responsabilità ma questo avviene solo in gruppi con ruoli istituzionalizzati, in cui a un certo ruolo viene riconosciuto il potere leggittimo di decidere in un determinato campo di azione, per tutti.

Le scelte in un gruppo, sia che riguardino solo i membri del gruppo oppure persone esterne, come in politica, vanno preparate attraverso un processo di informazione abbastanza completo sull'oggetto della scelta (sia all'interno sia all'esterno del gruppo che decide), attraverso una discussione pubblica che permetta agli interessi di tutti di essere espressi e a eventuali conflitti di emergere e di appianarsi. 

Quando i processi decisionali sono preparati in maniera adeguata, anche quando non si arriva a una decisione per veti incrociati, si ottiene sempre qualcosa di importante, innanzitutto un apprendimento di tutte le persone informate sulla questione oggetto di decisione, si è anche più consapevoli dei problemi come decisori e come destinatari della decisione. 

Con la costruzione di processi decisionali partecipati, si ottiene anche una maggiore conoscenza reciproca e a volte anche un livello maggiore di fiducia reciproca, perché durante la strutturazione del percorso decisionale, per tentare di deliberare, di scegliere attraverso un voto, c'è generalmente una manifestazione più chiara degli interessi reciproci in campo. 

Oltre a essere laureato in sociologia nel 1997, ho fatto un Master in Analisi delle politiche pubbliche a Torino nel 2000 ed è stato una integrazione molto importante della mia preparazione sociologica. Mi ero già occupato di sviluppo locale e partecipato in un altro corso di formazione a Castellammare di Stabia nel 1998 ma il master mi ha fatto conoscere il lavoro di ricercatori che non conoscevo, Luigi Bobbio e Marianella Sclavi per esempio. 

Non decido niente pubblicamente ma così capisco di più la politica come cittadino, le sue irrazionalità e le sue grandi opacità. E capisco pure meglio la qualità e la cultura democratica di un gruppo o di una organizzazione quando mi trovo a interagire con essa. 

Una buona cultura democratica serve a vivere bene, per un maggiore benessere personale e diffuso.

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